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Creato da Provincia di Roma - Per la memoria il 15/07/2011
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17.2 min
La vicenda dei militari italiani in Germania si conosce ancora poco. Il Generale Max Giacomini apparteneva ad una famiglia di militari, il padre era ufficiale. L’ambiente militare, pur osservante delle leggi del paese, provava una certa avversione rispetto al fascismo, si sentivano era di della tradizione liberale e risorgimentale e i fascisti venivano visti un po’ come dei parvenu, si sentiva una distanza culturale. Nel 1943, dopo il bombardamento di San Lorenzo, la sensazione diffusa era che le cose stessero precipitando. Il 25 luglio, quando cadde il fascismo, la reazione dei militari fu di sollievo e che l’Italia si sarebbe finalmente ritirata dal conflitto. Al di fuori della caserma il sentimento era quello di fedeltà alla monarchia che finalmente si era liberata dal fascismo. E anche rispetto ai tedeschi c’era una silenziose diffidenza rispetto ai tedeschi che, pensando alla tradizione risorgimentale dell’esercito italiano, erano i nemici storici. Il giorno dopo la caduta del fascismo, Max venne chiamato dallo Stato Maggiore e inviato in Germania per un addestramento relativo all’uso di un carro armato che i tedeschi dovevano fornire all’esercito italiano.
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11.5 min
Cominciavano a rientrare i reduci dal fronte russo e si cominciava a conoscere l’esperienza drammatica dei nostri soldati che erano andati senza che venisse chiesto l’intervento dalla Germania ma per una sorta di mania di grandezza di Mussolini. I soldati avevano combattuto ma la logistica era molto scadente. E inoltre avevano avuto solo compiti di collegamento. La gente capì il fallimento della politica militare del fascismo. Per quanto riguarda la milizia fascista c’è da considerare che all’epoca l’Italia era un paese contadino con larghe sacche di povertà: molti si erano arruolati per sbarcare il lunario, prova ne sia che poi l’8 settembre, abbandonarono la milizia. E infine l’esercito: i comandi funzionavano, funzionava la strategia ma la logistica era scadente, problema che l’esercito italiano ha avuto anche nel primo dopoguerra.
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11.4 min
Il Gen. Giacomini, all’epoca ufficiale, l’8 settembre si trovava in Germania, in missione sul lago di Costanza insieme ad altri due ufficiali. Erano rientrati al proprio alloggio quando Max venne avvertito da un cameriere ungherese che l’Italia aveva firmato l’armistizio. Vennero mandati in campo di concentramento di transito dove cominciavano ad affluire i primi militari italiani dall’Albania e dalla Croazia. Non si avevano né ordini né informazioni e tutti si sentivano abbandonati. La prima preoccupazione era comunque di sapere cose avrebbero fatto i tedeschi degli italiani. I tedeschi, la prima cosa che fecero fu di separare gli ufficiali dai soldati perché sapendoli fedeli alla monarchia, erano certi che sarebbero stati più restii a restare dalla parte della Germania. Cominciava la campagna di adesione a Salò.
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10.4 min
Il primo no alla Germania da parte degli ufficiali non era di carattere ideologico ma dato per la fedeltà alla monarchia. Nei soldati venne fuori invece l’astio verso il fascismo che li aveva portati in guerra; la guerra era finita e volevano tornare a casa. Quando invece arrivarono gli emissari da Salò per cercare adesione arruolamenti, il no fu di carattere ideologico: Salò dagli ufficiali, veniva visto come usurpatore nel confronti di uno Stato che esisteva ed era l’Italia. Bisogna considerare anche che le alte sfere dell’esercito italiano era tradizionalmente piemontese e quindi vicine ai Savoia. Le adesioni furono molto poche e quelle poche furono o per fanatismo o per lasciare il campo di concentramento. Gli emissari di Salò andarono nei campi fin dall’inizio e ad ogni rifiuto peggioravano le condizioni di vita.
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10.7 min
Il vitto: la mattina c’era un the fatto con acqua calda e foglie di tiglio; nel pomeriggio il pranzo erano tre fette di rape, 150 gr di pane nero, 20 gr di margarina e 20 gr di marmellata. La domenica c’era il grande pasto: la minestra con fiocchi d’avena, patate e qualche pezzetto di carne. I letti erano a castello e in ogni letto c’erano tre persone. La baracca era di legno ed era piena di cimici: le chiamavano paracadutisti perché ogni tanto cadevano dall’alto. I pacchi arrivavano con difficoltà. L’abbigliamento era quello che avevano addosso il giorno del trasferimento al campo, le scarpe non c’erano più. L’igiene consisteva in una sciacquata con l’acqua per cui si faceva la fila.
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10.7 min
Nei primi giorni erano considerati prigionieri di guerra poi cominciarono a vedere dietro le giacche degli altri prigionieri una serie di sigle: per esempio i russi erano segnalati con una sigla particolare visto che la Russia non aveva aderito al trattato internazionale di Ginevra. Non c’era assistenza della Croce Rossa internazionale e i tedeschi avevano l’assoluto controllo degli orari e dei tempi di lavoro. La condizione era diventata di internato militare, condizione che non dava alcun diritto.
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7.7 min
I tedeschi sapevano benissimo che gli italiani non avrebbero aderito in massa alla Repubblica di Salò e non avrebbero continuato la guerra. E avevano fondamentalmente bisogno di manodopera per poter mandare al fronte il maggior numero possibile di cittadini tedeschi. La defezione italiana fu, in questo senso, provvidenziale. Gli italiani internati sono stati moltissimi, impiegati in Polonia e in Germania per poi ripiegare verso il territorio tedesco man mano che avanzava il fronte russo. Si calcola che gli internati italiani siano stati circa 650 mila, calcoli fatti dalle situazioni militari all’8 settembre quando le truppe italiane erano fra Grecia, Albania, Croazia…
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5.1 min
Si sostiene che le persecuzioni, non solo nei confronti degli ebrei, avessero carattere di razzismo e si sostiene che carattere di razzismo abbia avuto anche l’atteggiamento verso i prigionieri italiani. Max Giacomini concorda in parte perché, anche se gli italiani non erano considerati sottouomini, prevaleva il valore della razza ariana e forse solo gli inglesi venivano in qualche maniera assimilati tanto è vero che l’atteggiamento verso gli ufficiali inglesi prigionieri era totalmente diverso, c’erano saluti militari e possibilità di osservazioni. C’era una prima categoria a cui appartenevano i prigionieri inglesi; poi una seconda categoria di normali prigionieri di guerra che erano francesi, olandesi e occidentali in genere; una terza categoria era quella degli slavi purchè non russi; poi c’erano i traditori italiani trattati molto male ma non da eliminare; poi c’erano i russi atei e comunisti; e alla fine gli ebrei.
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8.7 min
Dopo molti anni si ricomincia a parlare di Cefalonia. Si sostiene che il massacro non può essere ritenuto un normale scontro fra due eserciti. E si comincia a considerare Cefalonia come atto di resistenza. Il Gen. Giacomini considera che i tedeschi all’8 settembre avevano la necessità di disarmare l’esercito italiano. Molte unità deposero le armi, altre hanno opposto resistenza. Tra queste c’è stata Cefalonia il cui comandante prima di ingaggiare battaglia fece una sorta di referendum fra i suoi soldati perché i tedeschi erano numericamente superiori. Gli italiani risposero al sentimento diffuso che non si voleva fare la guerra accanto ai tedeschi ma contro i tedeschi. Una pagina da considerarsi appieno nel quadro della Resistenza.
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11.0 min
Max Giacomini al momento della fine della prigionia ha avuto come tutti gli italiani problemi di rientro: inglesi e americani sono tornati subito. Ricorda l’impatto con la logistica dell’esercito alleato: sono stati liberati alle 8 del mattino e già alle 14 arrivavano i camion con i viveri per i prigionieri liberati. Ricorda che ci fu un piccolo contrattacco tedesco e vide un ufficiale inglese, alle cinque del pomeriggio, prendere il suo the sulla camionetta e dare disposizioni all’artiglieria. Era evidente, davanti a tanta organizzazione, che gli italiani quella guerra non la potevano vincere. Il ritorno non fu una pagina gloriosa.
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6.0 min
La mortalità nei campi di prigionia fu comunque molto alta anche se non per eliminazione. Le cause variavano da campo a campo, molti sono morti per le pessime condizioni alimentari, quelli meglio dotati come gli alpini hanno resistito di meno perché bisognosi di più risorse. Molti per fucilazione in seguito ad atti di insubordinazione. Dei 650 mila partiti ne sono rientrati circa 70 mila. E’ stato difficile ritrovare i luoghi di sepoltura e identificare le salme.
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15.8 min
Quella del rimpatrio è stata una pagina amara. Dopo l’8 settembre nessuno si è preoccupato dei 650 mila militari. Al rientro dal Brennero nemmeno la popolazione civile ha manifestato particolare gioia a vederli rientrare. Quando Max Giacomini è rientrato a Roma l’8 settembre del 1945, cinque mesi dopo la liberazione del suo campo, nell’indifferenza generale e ricorda che l’unico atto di umanità fu quello del bigliettaio dell’autobus che gli permise di viaggiare gratis. In generale si preferì rimuovere la questione della prigionia dei militari perché rimandava ad una sconfitta e ad una guerra sostanzialmente perduta. E poi c’era l’enorme visibilità della Resistenza armata che metteva in secondo piano le vicende dei prigionieri. Lo Stato non ha provveduto a nessun particolare risarcimento. Germania e Austria hanno stabilito per legge il risarcimento del lavoro coatto: il Gen. Max Giacomini ritiene che non è risarcibile, non c’è pagamento possibile; l’unico risarcimento è quello morale nell’educare i giovani. Forse se mai arrivassero i soldi sarebbe persino offensivo.
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