vania benetton
CERCATORE DI MEMORIA
Nonna Pineta (11 settembre 1929 - 6 maggio 2009)
Era un tempo sospeso quello che ci radunava sotto un porticato buio estivo, mangiata l'ultima fetta di anguria, le dita appiccicate sulle ginocchia raccolte sulla sedia di vimini, quasi a trattenere l'attenzione sulle parole, che fluivano morbide come il pallore lunare sulle innumerevoli foglie delle sue piante allineate. Solo lo scrosciare dei temporali poteva ammutolirmi come la sua voce narrante, in quello stesso luogo, ed era cosi’ forte che si faceva silenzio fino alle ultime gocce e cosi e’ stato fino all’ultimo dei suoi respiri.
Le sue storie, sempre le stesse, erano punteggiate dai gesti, sempre gli stessi, colti di sbiego, perche’ non stavamo a fissarci ma contemplavamo un punto qualsiasi avanti a noi assorte nei suoni, la guancia poggiata su un palmo, un braccio raccolto sul ventre, un dito agitato nel vuoto in modo interlocutorio. Erano racconti compenetrati fino a formare un labirintico ipertesto nel quale solo lei riusciva ad orientarsi con un link squisitamente suo chiamato ‘gni modo, un tandem di parole che serviva a scivolare tra i filoni narrativi senza inciampare e senza dare l'impressione che qualcosa fosse andato perduto.
Le sue vicende sono state le mie favole nel lettone, un’isola abbastanza lontana dal russare del nonno per concederci silenzio e riposo, e le sue favole avevano il sapore autentico e intenso della sua vita, raccontate con la stessa voce educata e gentile con la quale ricostruiva gli episodi di tormentate saghe familiari o le fasi del rocambolesco acquisto della casa in cui mi ha cresciuta.
Rievocare era il suo talento, la cifra del suo stare al mondo, il motore instancabile del suo animo affranto da impensabili dispiaceri e pur sempre capace di attraversare nuovi inferni e farne memorie buone per il mio presente, orfano di un’intera famiglia.
Con la descrizione minuziosa dei vestitini delle figlie, addormentate sul seggiolino della sua bici di ritorno da un lungo giro, sapeva addolcire il vuoto amarissimo delle loro assenze, e l’entusiasmo con il quale interpretava la giovane donna che era stata, in procinto di andare a teatro per la prima volta, scansava in un attimo i dolori della giornata.
Cosi raccontare la guariva dalla stanchezza e dai suoi malumori, la restituiva alla scalinata in pietra della sua nuova casa, scesa solennemente andando incontro ad un modesto salottino di velluto rosso, dove ha raccolto i miei primi passi incerti un san silvestro di qualche decennio fa e dove ha trovato quella che lei chiamava la sua prima e ultima felicita’.
Era un tempo sospeso quello che ci radunava sotto un porticato buio estivo, mangiata l'ultima fetta di anguria, le dita appiccicate sulle ginocchia raccolte sulla sedia di vimini, quasi a trattenere l'attenzione sulle parole, che fluivano morbide come il pallore lunare sulle innumerevoli foglie delle sue piante allineate. Solo lo scrosciare dei temporali poteva ammutolirmi come la sua voce narrante, in quello stesso luogo, ed era cosi’ forte che si faceva silenzio fino alle ultime gocce e cosi e’ stato fino all’ultimo dei suoi respiri.
Le sue storie, sempre le stesse, erano punteggiate dai gesti, sempre gli stessi, colti di sbiego, perche’ non stavamo a fissarci ma contemplavamo un punto qualsiasi avanti a noi assorte nei suoni, la guancia poggiata su un palmo, un braccio raccolto sul ventre, un dito agitato nel vuoto in modo interlocutorio. Erano racconti compenetrati fino a formare un labirintico ipertesto nel quale solo lei riusciva ad orientarsi con un link squisitamente suo chiamato ‘gni modo, un tandem di parole che serviva a scivolare tra i filoni narrativi senza inciampare e senza dare l'impressione che qualcosa fosse andato perduto.
Le sue vicende sono state le mie favole nel lettone, un’isola abbastanza lontana dal russare del nonno per concederci silenzio e riposo, e le sue favole avevano il sapore autentico e intenso della sua vita, raccontate con la stessa voce educata e gentile con la quale ricostruiva gli episodi di tormentate saghe familiari o le fasi del rocambolesco acquisto della casa in cui mi ha cresciuta.
Rievocare era il suo talento, la cifra del suo stare al mondo, il motore instancabile del suo animo affranto da impensabili dispiaceri e pur sempre capace di attraversare nuovi inferni e farne memorie buone per il mio presente, orfano di un’intera famiglia.
Con la descrizione minuziosa dei vestitini delle figlie, addormentate sul seggiolino della sua bici di ritorno da un lungo giro, sapeva addolcire il vuoto amarissimo delle loro assenze, e l’entusiasmo con il quale interpretava la giovane donna che era stata, in procinto di andare a teatro per la prima volta, scansava in un attimo i dolori della giornata.
Cosi raccontare la guariva dalla stanchezza e dai suoi malumori, la restituiva alla scalinata in pietra della sua nuova casa, scesa solennemente andando incontro ad un modesto salottino di velluto rosso, dove ha raccolto i miei primi passi incerti un san silvestro di qualche decennio fa e dove ha trovato quella che lei chiamava la sua prima e ultima felicita’.
Bombardamento e sfollamento da Treviso
di Giuseppina Salvadori
caricato 5975 giorni fa
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